Psicologa e psicoterapeuta a Bologna
Mi occupo di offrire sostegno psicologico e psicoterapeutico.
Sono specializzata in psicoterapia cognitivo costruttivista.
Tratto percorsi di psicoterapia per pazienti in età adulta, infantile o in adolescenza, per diverse problematiche psicologiche:
disturbi d’ansia e attacchi di panico
disturbi del comportamento alimentare
disturbo ossessivo-compulsivo
depressione e disturbi dell’umore
blocchi e problematiche legate allo studio
Lo Stalking
Lo stalking è un fenomeno psicologico e sociale, che ha iniziato ad esistere anche nel mondo giuridico e che talvolta è soggetto a confusione o mancanza di riconoscimento. Il termine “stalking” viene tratto dal mondo della caccia, letteralmente significa “appostamento”. Accade quando una persona viene respinta o lasciata in un rapporto che questi non riesca ad accettare il rifiuto, che vive come un’ingiusta imposizione. Da quel momento questa persona può iniziare a ricorrere a comportamenti inizialmente gentili, ma poi seguitamente sempre più insistenti, ossessivi, inappropriati e psicologicamente/fisicamente aggressivi, volti a riconquistare quanto gli/le è stato sottratto o vendicarsi della perdita. Talvolta questa dinamica riguarda rapporti che sono stati interrotti da una delle due parti, mentre in altri casi il desiderio deluso della persona che mette in atto questi comportamenti la porta a costruire nella sua mente un rapporto o delle intenzioni amorose che non hanno mai avuto luogo però nella realtà. In alcuni casi lo stalking può riguardare anche l’ambiente lavorativo.
Dal punto di vista legale lo stalking in Italia è stato riconosciuto come reato con la decisione del 18 giugno 2008 del Consiglio dei ministri di approvare il disegno di legge Carfagna/Alfano “misure contro gli atti persecutori” relativo a “quei comportamenti ripetuti consistenti in molestie e minacce che creano nella persona offesa paura per la propria incolumità o per quella di persone legate da vincoli di parentela o di affetto tale da indurre a modificare il proprio stile di vita in maniera significativa”. I comportamenti ripetuti possono avvenire di persona ma anche in maniera meno diretta, attraverso continui messaggi, email, telefonate, pedinamenti o appostamenti, ai quale può seguire un’aggressione fisica/sessuale.
La prima legislazione riguardo allo stalking fu nel 1991 in California, in seguito all’omicidio di una nota attrice da parte di un fan che aveva precedentemente messo in atto comportamenti persecutori. Vi sono stati casi di stalking riguardanti alcuni famosi personaggi dello spettacolo (come Nicole Kidman, Jodie Foster, Madonna, Laura Pausini) e attraverso la cronaca, media e serie tv è diventato recentemente un fenomeno fortemente discusso. Sicuramente però come le altre forme di violenza o maltrattamento si inserisce nella realtà sociale indifferentemente dal contesto socio-culturale sia della vittima che del persecutore.
Le vittime
Lo stalking può riguardare entrambi i sessi, anche se, secondo le statistiche, le vittime di questo fenomeno sono per il 78% donne e per il 22% uomini. In alcune situazioni sono/sono state in una relazione amorosa con il loro aggressore ma come accennato non necessariamente. In tutti i casi inizialmente un coinvolgimento relazionale, sentimenti amorosi o amicali o convenzioni sociali (o familiari) fanno sì che la vittima di questa situazione possa provare senso di colpa, confusione o vergogna per ciò che sta accadendo e che perciò attenda diverso tempo prima di arrivare ad esporre una denuncia.
Il fatto di essere vittima della ricerca continua di un’altra persona persona può provocare conseguenze di diverso genere. Talvolta l’escalation di questi comportamenti porta ad un’effettiva aggressione fino ad arrivare all’omicidio. Quando questo non avviene accade comunque che il senso di minaccia, allerta ed impotenza comportino conseguenze importanti sia sulla vita della persona (ad esempio non sentirsi più sicuri nel frequentare alcuni posti, non passare per alcune strade per andare al lavoro oppure isolarsi socialmente per sentirsi “al sicuro”) e conseguentemente anche sulla sua mente: non è infrequente che la vittima di stalking sviluppi disturbo di panico, disturbo ossessivo-compulsivo, disturbi alimentari, comportamenti autolesivi, sintomatologia depressiva, disturbo post-traumatico.
Lo stalker
Per quanto riguarda la persona che perpetua lo stalking la letteratura si è focalizzata sulle motivazioni che spingono al comportamento persecutorio, per poterne evidenziare tipologie differenti, anche in base alla relazione con la vittima. Mullen ed altri (1999) ne distinguono cinque tipologie: il risentito, il respinto, il bisognoso di affetto, il corteggiatore incompetente e il predatore.
Il risentito è colui che presume di aver subito un grosso torto ed agisce dunque con l’intento di vendicarsi. All’interno di questa categoria si possono distinguere elementi che derivano dalla vita amorosa (la più frequente, nel caso in cui uno dei due partner di una coppia viene lasciato ma nutre un desiderio di rivalsa e di vendetta) oppure da quella professionale (ad esempio nel caso in cui un dipendente non potendosi vendicare su un responsabile sul luogo di lavoro scelga quindi di “punirlo” nella sfera privata).
Il respinto è la persona che è stato soggetto ad un rifiuto amoroso, da ex partner o non, ma che per sfuggire al dolore derivante da questo non lo accetta. Mette in atto diversi tentativi di riconquista e/o di vendetta per l’abbandono subito attraverso messaggi telefonici, regali, biglietti. Sfortunatamente ogni rifiuto diventa per lui un feedback positivo nella ricerca di controllo sulla sua vittima, per cui ogni risposta seppur negativa va a nutrire la sua ossessività.
Il bisognoso di affetto è una persona che, per non soffrire il rifiuto, costruisce l’illusione di ricevere ancora affetto attraverso una “relazione idealizzata”. In alcuni casi esiste effettivamente una relazione tra vittima e persecutore, in altri casi è costruita attraverso la fantasia del persecutore fin dall’inizio (come ad esempio nei casi che riguardano personaggi famosi e fan).
Il corteggiatore incompetente è la persona che agisce comportamenti molesti perché non possiede abilità relazionali adeguate. I comportamenti diventano ripetuti ed insistenti perché ritiene di avere il diritto di ottenere ciò che vuole e non si spiega perché i suoi tentativi non funzionino. Anche in questo tipo di dinamica la vittima non viene considerata un essere agente a sé stante, ma un oggetto che lo stalker pretende, dunque non ne accetta il rifiuto.
Il predatore è colui che si apposta e segue la sua vittima con il preciso intento di avere un rapporto sessuale. Vengono frequentemente arrestati per violenza sessuale o omicidio.
Le persone che agiscono lo stalking sebbene in contesti molto differenti sono accomunate dalle scarse abilità relazionali ed empatiche. Un altro fatto che è importante sottolineare è che queste categorie non si differenziano tra loro per la gravità ma per la modalità di espressione.
Elementi psicologici e terapia in casi di stalking
Il continuo stato di paura, impotenza e solitudine sperimentato dalle vittime diventa un peso molto grosso, che può essere affrontato anche attraverso un percorso psicoterapeutico, soprattutto qualora emerga un quadro di disturbo ansioso, depressivo, dell’alimentazione o post-traumatico.
Un consulto psicologico può essere di supporto per aiutare la vittima a tornare ad uno stato di fiducia nei confronti di se stessa e del mondo, ma anche, nel caso in cui la persecuzione sia ancora in corso, ad individuare i nessi relazionali che ancora fanno parte della relazione con lo stalker ed aiutarla nel distacco. (Naturalmente deve sempre essere contemplato, se appunto esiste ancora un contatto con il persecutore, l’intervento delle Forze dell’Ordine attraverso un’eventuale denuncia da parte della vittima, quindi le persone coinvolte in questo fenomeno potrebbero dover condurre parallelamente anche un percorso legale)
Anche la persona che commette stalking ha necessità di essere accompagnata in un percorso che la aiuti ad affrontare il lutto per la relazione che non può avere, oltre ad incrementare le abilità sociali che ne potrebbero aumentare gli affetti e perciò migliorare la qualità di vita. A volte i persecutori attraverso la sofferenza maturano la consapevolezza necessaria a riconoscersi in una gabbia costruita su un’ossessione, perciò riescono a rivolgersi ad un professionista; spesso purtroppo arrivano ad intraprendere un percorso solo dal momento che sono già stati soggetti ad una denuncia.
Per approfondimenti:
“Stalking: quando il rifiuto di essere rifiutati conduce alla violenza” A. Barsotti, G. Desideri
“Stalking e violenza alle donne: le risposte dell’ordinamento, gli ordini di protezione” Forum-Associazione Donne Giuriste
“Uomini che maltrattano le donne – come riconoscerli e cosa fare per difendersi” L. Bancroft
Conseguenze psicologiche legate al COVID-19
In questo particolare momento della nostra vita ci siamo trovati a dover affrontare le conseguenze di una pandemia. La diffusione del COVID-19 è stata un evento improvviso che ha completamente modificato la vita delle persone, in diversi aspetti che hanno a che fare con la nostra routine ma anche per ciò che riguarda l'ambiente lavorativo e sociale.
L'avvenire di questi cambiamenti è stato per tutti imprevedibile: nessuno si sarebbe aspettato che si sarebbe diffuso un virus a livello globale, per di più così repentinamente.
Se il nostro senso di sicurezza e stabilità, si basa su ciò che ogni giorno fa parte della nostra vita, sicuramente ci troviamo in un momento un po' critico per quanto riguarda questi aspetti. Ogni routine è diversa, per entrare nei luoghi chiusi è necessario osservare delle regole e si incontrano poche persone. Il lavoro si svolge per quanto possibile da casa e per alcuni il posto di lavoro è a rischio. Luoghi, spazi e persone non sono più riferimenti stabili. È naturale che si faccia strada dentro alle persone un senso di spaesamento e di difficoltà nel sentire un senso di controllo e di sicurezza sulla propria vita.
Le notizie diffuse dai media sull'impatto che il COVID può avere sulla salute dell'essere umano ci mettono in contatto col nostro senso di vulnerabilità, le restrizioni col nostro senso di libertà, le limitazioni sulle relazioni sociali col senso di isolamento e solitudine.
La paura che accada qualcosa diventa una costante che aleggia su tutto ciò che facciamo, pone le persone in una prospettiva incerta e in uno stato di allerta che, mantenuto lungamente, può generare una forte attivazione e stress.
È impossibile attribuire una colpa a qualcuno o qualcosa di tangibile e concretamente responsabile di ciò che sta accadendo. La sensazione è a volte quella di combattere contro un “nemico invisibile” di cui tutti potrebbero essere involontari portatori, per cui di quella persona che incontriamo per strada e ci saluta non ci si fida più. In alcuni casi la rabbia ed il sospetto per chi è vicino sfociano in comportamenti aggressivi, che sono comunque chiare manifestazioni del disagio e della difficoltà a stare in questa situazione con gli altri.
Come posso preservare il mio benessere? Poterci dare una risposta a questa domanda è particolarmente importante in un momento come questo, in cui senso di isolamento, paura e rabbia possono essere elementi costanti nel rapporto con se stessi e con gli altri.
Sicuramente i media e le notizie hanno un impatto importante sulla maniera in cui viviamo tutto questo: su qualunque canale ad ogni ora del giorno leggiamo o ascoltiamo titoli sensazionalistici ed allarmanti, che pongono l’accento sulla tensione e lo sconvolgimento della notizia presentata. Il modo in cui ci vengono presentate le notizie attiva sicuramente a livello emotivo, ma è importante che non permettiamo all’inquietudine e alla paura di cancellare ciò che razionalmente conosciamo. Al momento sono noti il modo in cui il virus si propaga ed il modo per abbassare la probabilità di infettarsi, l’utilizzo delle norme igieniche che ormai sono ampiamente diffuse ci mette nella posizione di poter agire in prima persona sulla propria salute e proteggersi. É importante tenere dentro di sé una consapevolezza della propria azione e dell’efficacia che questa ha nel momento in cui osserviamo le regole e le distanze necessarie a ridurre il rischio.
Il fatto che il rischio sia sempre ridotto e mai azzerato può costituire un punto dolente, ciò nonostante è importante che questo possa essere compreso ed accettato: la mancanza di controllo ed il rischio possono generare ansia ma costituiscono elementi imprescindibili della nostra esistenza, sia per ciò che riguarda la salute sia in diversi ambiti. Affrontare la paura e capirla a fondo è importante per poterla accettare e gestire. Questo può renderci più consapevoli e più sereni, sia con noi stessi sia nel rapporto con gli altri: la persona che incontriamo per la strada e che viene guardata con sospetto ha probabilmente pensieri ed emozioni molto simili ai nostri.
Il rapporto con le persone fa parte della nostra natura e non può essere trascurato nel parlare di benessere. Nel rispetto delle norme dettate dai DPCM e del buon senso è importante mantenere i rapporti interpersonali e sociali e nutrirli per quanto possibili dell’attenzione e della cura che ponevamo quando le possibilità erano differenti: l’affetto e la vicinanzarimangono necessità primarie per l’essere umano.
In ultima analisi, qualora affrontare da soli questo momento risulti troppo pesante, è importante non vergognarsi ad appoggiarsi e chiedere aiuto: alle persone che ci vogliono bene in primis, ad un professionista se la situazione va a toccare delle proprie sensibilità individuali e diventa necessario un aiuto esterno per poter stare bene.
Il benessere psicologico
Ognuno di noi desidera il benessere sia fisico che psicologico. È importante sentirsi in armonia con se stessi e con l’ambiente in cui si vive. La qualità della nostra vita riguarda la nostra autostima ed il fatto di sentirsi bene nelle diverse sfere che compongono il nostro ambiente di vita: la famiglia, il lavoro, le relazioni (amicali e sentimentali).
Talvolta è possibile avvertire che il proprio equilibrio è compromesso. Questo può accadere in diversi modi, di cui alcuni sono abbastanza comuni: ad esempio un umore più basso, un’ansia difficile da gestire, difficoltà nell’alimentazione o nel sonno, ma anche veri e propri disturbi psicosomatici.
Non solo questi sintomi provocano sofferenza, talvolta è anche difficile per una persona capire perché non riesca con le sue forze a districarsi dal malessere che la affligge.
Non è semplice avere la consapevolezza di tutto ciò che accade dentro di noi, di quelle che sono le nostre sensibilità. Ognuno di noi ha un personale modo di osservare la realtà e di dare un significato a ciò che accade. Questo dipende da chi siamo e da quello che ci portiamo dietro. Le nostre relazioni passate, come abbiamo affrontato le difficoltà fino ad oggi e cosa ci è accaduto influenzano il modo in cui guardiamo ogni cosa: talvolta è necessario capire con che “occhiali” guardiamo il mondo per conoscere la chiave del nostro benessere e della nostra sofferenza, e imparare ad accettare e a gestire ciò che ci accade dentro.
La PSICOTERAPIA è un percorso importante di crescita, attraverso il quale capire perché stiamo male ma anche come preservare il nostro benessere ed i nostri bisogni. Compito dello psicologo-psicoterapeuta è quello di accompagnare la persona in questo processo di consapevolezza e di cambiamento.
Aggressività, passività e assertività
Si parla di questi tre concetti quando ci relazioniamo con le persone che ci circondano e fanno parte della nostra vita a tanti livelli differenti. Sono frequenti le situazioni in cui si è in disaccordo, oppure in cui gli interessi o le necessità della persona che ci sta di fronte non vanno nella stessa direzione. Questo può accadere ad esempio quando un collega cerca di affidarci un suo compito, quando il cane di un vicino di casa abbaia molto, quando un amico arriva in ritardo, o ancora quando una persona con cui si convive utilizza gli spazi comuni senza che vi sia un accordo sul come. Questi fatti non costituiscono in sé delle azioni “sbagliate”, semmai argomenti che possono costituire un motivo di disaccordo. Stare assieme agli altri significa anche portare assieme a noi le nostre preferenze, i nostri desideri ed i nostri bisogni. Quando accade che non li sentiamo rispettati allora spesso subentrano risentimento e rabbia: è un’emozione positiva, perché indica che qualcosa non è andato nel verso desiderato, ci sentiamo poco considerati, prevaricati o comunque in una condizione di disparità e ingiustizia.
In questo genere di situazioni ci si può porre in modi diversi.
Avere una risposta passiva significa, nell’ambito delle interazioni sociali, non dare spazio a ciò che è un proprio sentimento o una propria necessità, talvolta anche un nostro dovere. Questo può accadere perché all’idea di non compiacere l’aspettativa dell’altro si nutre il timore di sentirsi in colpa, rifiutati o derisi, oppure di ledere la relazione con l’altro. Ciò implica il fatto che il sentimento di rabbia non genera nessuna azione e le cose non cambiano. Può accadere ad esempio che qualcuno in un negozio passi davanti alla fila e la reazione sia di non reagire affatto, ma contemporaneamente si pensi che non sia corretto. In queste situazioni ci si ritrova poi generalmente in un senso di insoddisfazione, frustrazione e di poca efficacia personale. I rapporti personali sono così effettivamente contaminati da queste scelte, perché ci si sente “a credito”: si rimane con l’idea che le persone ci dovrebbero più attenzioni o più rispetto.
Agire in maniera aggressiva significa invece portare in primo piano le proprie necessità o priorità senza considerare i bisogni dell’altro, ignorandoli o scavalcandoli. Questo comportamento può essere attuato in maniera più o meno esplicita, a seconda del fatto che ci si mostri effettivamente “aggressivi” nelle modalità gestuali e paraverbali oppure si utilizzi solo il verbale. Anche con un atteggiamento passivo si può essere in realtà aggressivi. Questo accade ad esempio se una persona utilizza il silenzio come risposta alle esigenze dell’altro (innescando in lui eventualmente dubbio o senso di colpa ed influenzando così una sua scelta).
Essere assertivi significa dare importanza ai propri desideri ed alle proprie necessità, pur tenendo in considerazione i bisogni della persona con cui ci si relaziona. Questo implica rimanere in ascolto dell’altra persona, però senza che questo porti ad annullare o minimizzare ciò che riteniamo importante per noi. È importante che ci si senta liberi di poter esprimere al meglio le emozioni che ci appartengono (il proprio disaccordo, dispiacere, rabbia) all’interno delle interazioni, in maniera sempre rispettosa e consona, in modo tale che anche per l’altro sia comprensibile il nostro punto di vista. Il fatto di poter mostrare le nostre emozioni può aiutare gli altri a capire cosa non ci piace e come siamo fatti; trovare così un punto d’incontro può rendere i nostri rapporti più ricchi ed appaganti.
A volte è complicato essere assertivi, perché le esperienze che abbiamo vissuto tendono a condizionare il modo in cui si reagisce alle situazioni in cui si si sente “attaccati” o in difficoltà. Questo fa sì che più spesso senza accorgersene si attui una modalità aggressiva oppure passiva, magari pensando che sia l’unica possibile.
Quindi è ideale per favorire il nostro benessere essere sempre assertivi? Non proprio. Alcune circostanze richiedono di dover essere “aggressivi”, ad esempio per difendersi, mentre in situazioni ancora diverse è più opportuno tenere un atteggiamento “passivo”, perché magari parlare o agire in maniera spontanea in quel momento non porterebbe a delle buone conseguenze.
La migliore posizione per una persona è senz’altro quella di scegliere consapevolmente, in relazione a ciò che produce il risultato più conveniente o appagante, sapendo che ciò che ci si porta dentro può sempre essere, in maniera assertiva, espresso e condiviso.
Bibliografia:
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Laurent Samuel, Affermazione di sé, in Come risolvere da soli i problemi psicologici, 1ª ed., Milano, R.C.S. Libri & Grandi Opere, 1993, pp. 8–13, ISBN 88-454-0603-2 (pubblicato nel periodico mensile "Tascabili Sonzogno" - Anno V - Numero 67).
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Robert E. Alberti e Michael L. Emmons, Essere assertivi. Come imparare a farsi rispettare senza prevaricare gli altri, Il Sole 24 Ore, 2003.
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Nicola Iannaccone, Stop al bullismo. Strategie per ridurre i comportamenti aggressivi e passivi a scuola, Edizioni La Meridiana, 2005, ISBN 88-89197-29-3.
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D. Bonenti e A. Meneghelli, Assertività e training assertivo. Guida per l'apprendimento in ambito professionale, Milano, Franco Angeli, 1997.
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R. Anchisi e M. Gambotto Dessy, Non solo comunicare. Teoria e pratica del comportamento assertivo, Torino, Libreria Cortina, 1995.
I disturbi d'ansia
La paura fa parte della vita dell’essere umano, eppure talvolta è percepita come fortemente disturbante e difficile da tollerare. Come ogni emozione che proviamo la paura è funzionale ed utile alla nostra sopravvivenza, poiché ci aiuta a riconoscere le situazioni di pericolo ed attivare un’azione (attacco/fuga) volta a proteggerci.
A volte però lo stato di allerta e l’agitazione che si provano non sono più funzionali a fronteggiare una situazione: la sensazione è che l’ansia sovrasti la capacità di fronteggiare ciò che accade. Si possono allora soffrire dei momenti di forte ansia, fino ad arrivare a veri e propri attacchi di panico, insonnia, sintomi psicosomatici e si possono anche attivare comportamenti di controllo di questo stato d’allerta, come pensieri ossessivi o rituali di controllo.
Lo stato ansioso è in questo caso pervasivo, poiché occupa per la persona che lo prova molto stress ed energia mentale nell’arco di tutta la giornata. Questo porta a sentirsi in prima battuta molto impauriti, ma poi in seguito spesso anche demoralizzati dall'idea di non sapere come poterne uscire.
Sono presenti conseguenze per l’individuo a più livelli:
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una grande sofferenza psicologica, perché l’ansia, il panico e tutti i sintomi psicosomatici sono per il corpo molto stressanti; l’idea della perdita di controllo sul proprio corpo è molto comune ed è fonte di ulteriore ansia
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risvolti pratici, poiché chi soffre d’ansia fatica ad esporsi agli eventi ed alle situazioni temute, di conseguenza li evita (può essere ad esempio che non ci si presenti ad un esame, non si utilizzi più la macchina, l’aereo o altri mezzi di trasporto, si evitino alcune situazioni sociali, …)
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risvolti sociali, dal momento che spesso vengono evitate anche situazioni di incontro o di relazione, di conseguenza nel tempo i rapporti personali vengono condizionati da queste condotte
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conseguenze sul senso di autonomia e di auto-efficacia personale, che vengono intaccati dall’essere continuamente messi alla prova. La persona che vive questo disagio spesso si appoggia alle persone di fiducia o evita le situazioni che teme maggiormente, così spesso si sente dipendente dagli altri e non del tutto capace di fronteggiare le situazioni a cui la vita lo sottopone.
In conclusione è utile che in questo momento difficile la persona possa riflettere su di sé, utilizzando semmai un percorso che consenta di riappropriarsi del proprio senso di autonomia.
Un obiettivo importante quindi è sicuramente quello di poter affrontare l’ansia anziché evitarla ed acquisire quindi la consapevolezza che si è in grado di affrontare le situazioni, anche quelle che si temono. A quel punto la persona potrà maturare anche un senso di padronanza del proprio corpo e della propria vita.